Mi acquatto
sotto l’ascella capiente di un dio distratto
e lì rimango, un po’ ronfando un po’ sperando.

Non ho bisogno
che qualcuno mi dica: “È solo un sogno”:
finché ci credo, è naturale ciò che vedo.

Da questo sito
vedo tutto diviso e tutto unito:
una brughiera, una torbiera, una ferriera…

…una corriera,
e nei sedili quasi in fondo, due
che non si guardano ma è chiaro che si amano,

anzi chiarissimo.
Sono cose che sanno di vacanza,
e in tutto quanto c’è una specie di coerenza.

E l’occhio passa
da questa cosa bella a una più bella,
sarà benefico l’influsso dell’ascella.

Che prateria!
La corriera è un puntino laggiù in fondo
e questo vento mi sa già di Nuovo Mondo.

Un cielo lungo
che di specchia nell’acqua degli stagni
dove si guardano caimani e capibara.

C’è un dirigibile
che sorvola acquitrini e sabbie mobili
e fa rimanere tutti con il naso all’aria.

Ma tutti chi?
Questo paesaggio è poco umanizzato,
anche se adesso mi ci sono un po’ abituato.

Un libro amico
che mi aiuti a capire quel che dico,
un dizionario grande come un planetario.

Si muove tutto,
sulla lavagna il gesso mi si è rotto
e Little Nemo è rotolato giù dal letto…

(Flip!)


Non so bene come quelle due immagini abbiano potuto provocare tante altre associazioni: e non ricordo come, da una conversazione nonsense con Mattia Giachino, sia saltato fuori quel “dio distratto”.
All’altro capo del filo c’era Little Nemo, il personaggio di Winsor Mc Cay, che interrompe i suoi sogni avventurosissimi cadendo dal lettino. In casa, a sinistra del caminetto, teniamo un foglio incorniciato del “St. Louis Republic” (January 15, 1911) con una delle sue storie a fumetti ambientate nel regno di Slumberland.
Flip – il titolo della canzone, – è anche il nome di un buffo tipetto col sigaro, nemico-amico di Little Nemo: ma a me interessava l’imperativo flip! (dagli un colpetto!), che mi rimandava al noto biliardino elettrico, il flipper della mia età giovanile.*
Ma torniamo all’ascella del dio distratto.
Acquattato lì sotto, mi concedo una serie di visioni che solo alla fine del pezzo si riveleranno della stessa sostanza dei sogni di Little Nemo: mentre in un primo momento, tutto appare credibile e naturale proprio in virtù del benefico influsso dell’ascella.
Del resto, Finché ci credo è naturale ciò che vedo: anche se la mia risulta una virtù visiva prodigiosa, tanto da farmi cogliere con chiarezza, all’interno di una vecchia corriera, gli sguardi di due ragazzi innamorati.
Il dirigibile è preso di peso dal foglio del “St. Louis Republic”, mentre i caimani e i capibara (enormi roditori) sono ricordi vivissimi di una vacanza venezuelana e dei grandi acquitrini della regione di San Fernando de Apure.
Il tono forse un po’ lisergico del brano si appesantisce nella strofa finale, dove le dimensioni abnormi del libro amico preludono a un ormai inevitabile risveglio. “Non è come le altre”, commentavano i miei amici al primo ascolto della canzone. E meno male, pensavo. Avevo anche individuato, fin dall’inizio, una struttura melodica molto semplice, confidando nella virtù evocativa dell’arrangiamento che Federico Bagnasco avrebbe potuto mettere in atto: e non me ne pento.

* In realtà, il vero nome inglese della macchina è pinball, mentre la denominazione invalsa in Italia e in Francia è il frutto di una sineddoche (la parte per il tutto): flippers sono le alette a forma di pinna che vanno a colpire la biglia d’acciaio.

FLIP !