Un pezzo di ambientazione, diciamo, “esotica”: conseguenza di certi miei viaggi su e giù per l’America Centrale, nel corso degli anni ’90.
Qui sarà sufficiente lasciar parlare le immagini.
Il succo del discorso, comunque, sta nel senso dell’attesa – lunghissime attese nelle stazioni delle corriere, senza fondate certezze – e nelle opportunità che quei periodi di stasi possono offrire a chi li sappia sfruttare.
Lì per lì non è facile, ma ci sarà pure un venditore di banane.

(Per inciso, sono molto orgoglioso di quella prima strofa interminabile.)


Dopo tutta la mia ansia di arrivare
sto seduto in questa specie di capanno
e tamburello con le dita, lentamente,
sul metallo di una bacinella a bordo giallo,
residuato di un’impresa commerciale
che teneva i suoi depositi in quest’area
che la gente adesso chiama solo “El Terminal”
per il fatto che ci stanno le corriere.

Si è coperto ma non vuole mica piovere,
me l’ha detto il venditore di banane…

Nei momenti di tensione o di fatica
– e in effetti sento ancora la fatica –
la memoria mette a fuoco all’improvviso
certe immagini banali e un po’ ridicole,
o la frase di un vecchissimo romanzo
con gli scapoli che portano le ghette:
“Ai suoi piedi era caduto tracollato
come una tonnellata di mattoni.”

Si è coperto…

Mi ha spiegato che la gente del villaggio
gratta via la terra dei cortili, tutta quanta,
fino a farli diventare nudi e rossi:
i serpenti nel pulito non ci passano mai.
Dopo tutta la mia fretta di arrivare
ho deciso di non fare quasi niente, per un po’.
Questa bacinella ha preso dei bei colpi,
ma si sa che, in qualche modo, puo’ venire ancora bene.

Si è coperto…

Il venditore di banane