Non diamo retta a quelle voci
trepide, stupide. (Dici:)
“Questo mistero è sovraccarico”
(E basta che te lo credi,
basta che te lo credi…)

Tranquillamente,
alla maniera sua
che più di tanto non dice
Ugo è partito,
ci ha salutati
uno per uno, e via.

Chi lo conosce
poteva ben sapere
che lui non è stanziale.
Ha già cambiato
due volte casa
in quattro anni, qui.

Ma lui lo sa quello che vuole,
insiste, persevera
nel suo tragitto individuale.
(Mica lo fanno tutti, eh,
mica lo fanno tutti.)

Stavo pensando
– non ditemi perché –
alla struttura dell’alluce,
all’inquietudine
di antichi bipedi
sempre portati a muoversi.

Parti da Ugo
e arrivi fino all’alluce
e agli altopiani dell’Asia:
gesti pindarici
calze bucate,
chi le rammenda più.

(Dove si sono formati
i nostri istinti profondi?
Nelle pianure desertiche,
camminando, camminando…)

Giusto così:
sappiamo tutti che
Ugo non è stanziale.
Dove lo porta
il suo tragitto,
lascialo dire a lui.

Non fate caso a quelle voci
trepide, stupide. (Dici:)
“Questo mistero è sovraccarico”
(E basta che te lo credi,
basta che te lo credi…)


Si potrebbe cominciare con: “discorsi da bar”.
Non un bar cittadino, comunque. Un Bar Sport di solida tradizione? Probabile: con una clientela abituale, affezionata, e con discorsi… da bar, appunto.
Ugo, quello del titolo, faceva parte del giro, e se n’è andato da qualche altra parte. Così, con molta educazione (è pur vero che ha salutato tutti), ma senza dare troppe spiegazioni.
E da qui prendono il via le osservazioni, le supposizioni di chi invece è rimasto.

Diciamolo, Ugo non era un tipo “stanziale”. La parola piace, come “sovraccarico”.
Un mistero può davvero essere “sovraccarico”? Forse. Ed è giusto parlare di “tragitto” (per dire che ognuno è libero di percorrere il suo), piuttosto che di “percorso”? Mah.
Sbavature da bar. Ma intanto il discorso procede e si complica, con la faccenda dell’alluce.
Non siamo stati costruiti per la stanzialità, dice qualcuno: e ne fornisce prova evidente la conformazione dell’alluce umano, concepito per grandi percorrenze.
E così, tra un sanbittèr e un biancamaro, viene evocato un paesaggio asiatico (o africano?) e soprattutto preistorico. Siamo tutti antichi bipedi; e Ugo, evidentemente, più di tutti.

L’arrangiamento di Fede Bagnasco privilegia satz, darbouka e sordine per un esotismo difficile, al tempo stesso fumettistico e struggente.
Giorgio Conte – e gliene sono davvero grato – si è divertito a recitare la parte dell’interlocutore, toccando, come si poteva immaginare, toni paradossali in quel “Gesti pindarici / Calze bucate / Chi le rammenda più”.

(L’abbiamo intitolata Ugo è partito, ma poteva essere benissimo la Canzone dell’alluce.)